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Mi chiamo ...., ed ho fatto la guerra. Ero andato
volontario in Russia con altri ragazzi come me... di altre zone di questa
nostra Italia ... Che sciorni!!! A esse’ ‘ndovini si restava casa!
Avevamo le scarpe sfondate, il freddo, la guerra, le barbarie… la fame…. Ogni
tanto scrivevamo una cartolina al Vescovo o al prete del paese. Dicevano di sostenerci con la loro
preghiera. So che tanti ragazzi come me lo facevano anche solo per scrivere: S.
E. la ricordo con affetto! Avevamo fatto amicizia tra di noi, la stessa comune
sorte era condivisa. Scherzavamo per tenerci su. Ultimamente sento tanto
parlare di fusioni di Comuni, leggo di dibattiti accesi ed infuocati, di gente
favorevole e contraria. Non discuto le ragioni che spingano questa gente a
prendere questa o quella posizione, ma nel mio poco capire politico, mi viene
da sorridere. Durante la guerra mi è capitato una cosa che voglio che si
sappia. Coloro che oggi questionano hanno antenati degni di essere ricordati.
Avanzavamo stremati tra gli spari del fuoco nemico. Un mio amico, proveniente
da uno di questi paesi dove si discute tanto sulla fusione, mi disse: - Oggiù, s’ha a di’ d’indà’ a casa? Fu quel voltarmi verso di lui, arrestarmi
e rispondergli: - Ora vedi! Chesto volevo senti’! - che mi bastò a non
rimanere secco allo scoppio di una granata che invece mi sfiorò di striscio.
Il mio amico vedendomi leggermente ferito ‘un ritrovava il sacco dalle corde,
non sapeva dove mettere le mani perché ‘un s’intendeva di ferite, ma alla
meglio mi fasciò e mi disse: – Ovvìa, ‘un sei tanto pe’ la
quale e ‘unn’è la via dell’orto, ma alò, andiamo! Lui, stremato più di me, mi
riportò a casa. Non so come fece a farcela!!! Gli sarò riconoscente per
l’eternità. Rividi la mia Chiana, i mi’ testucchi e rimangiai finalmente i pici
con la nana di cui ero tanto goloso”.