C’era una volta, ma
questa non è una fiaba, un bambino di
Tuoro che visitando tutte le volte Montepulciano ne rimaneva estasiato. Giuseppe
si sentiva attratto dai bei palazzi, le sue erte vie, i vicoli e le chiese. Gli
piaceva tutto di Montepulciano e tornava spesso a parlare con i genitori del
paese poliziano. Era diventata per lui una mania. I genitori non capivano
perché lo facesse finché non scoprirono che niente accade per caso e che è
proprio vero che Dio si serve dei bambini e dei lattanti per trasmettere delle
verità. Il nonno paterno Dante quando era ancora in fasce era stato lasciato
alla ruota degli esposti di Montepulciano. La ruota, la prima fu a Marsiglia
nel lontano 1118, permetteva che i piccoli reietti non fossero abbandonati
all’aperto alla mercé degli agenti atmosferici e degli animali perché tutto ciò
poteva essere per loro fatale ma di essere accolti in strutture che se ne occupassero.
Alla ruota il bambino poteva essere abbandonato nell’anonimato anche se
capitava abbastanza spesso che il piccolo avesse un ciondolo al collo o un
segno di riconoscimento che il genitore lasciava per rintracciarlo in futuro in
tempi migliori, ma spesso era un’utopia. Il suono di una campanella esterna
avvisava l’arrivo dei neonati. La guardiana di turno, la rotara, prestava i
primi soccorsi e successivamente i piccoli venivano accolti dalla priora che li
marchiava con una doppia croce sul piedino sinistro. I neonati venivano
registrati come filiu matris ignotae. Il piccolo Dante, nonno di Giuseppe, era
nato nel 1893 forse a Sinalunga e per povertà della famiglia era stato lasciato
alla ruota di Montepulciano. Non aveva segni di riconoscimento. Un sensale che non aveva figli recandosi nel brefotrofio
decise di adottarlo dandogli una famiglia ed un cognome. Giuseppe, il bambino
che amava Montepulciano, divenuto grande, riconoscente a chi accolse suo nonno
e gli prestò le prime cure, ha continuato
ad avere un forte legame con la cittadina tanto da aggiungere al suo nome e
cognome l’appellativo di Poliziano.
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